Carissimi confratelli salesiani e laici impegnati nelle CEP e nelle Équipe di PG, siamo ormai ad ottobre (mese missionario) e l’anno pastorale è già avviato nelle nostre comunità ed opere. Come Delegato di Pastorale Giovanile desidero continuare a proporvi questo appuntamento mensile, che chiamiamo Focus di PG. Per chi è nuovo, spiego brevemente lo spirito della rubrica: è rivolta a tutti i salesiani e a tutti coloro che, nelle nostre opere, fanno parte dei Consigli delle CEP e delle Équipe di PG. È uno strumento mensile di riflessione: un contributo che vuole provocare pensiero, stimolare discussione, aprire spazi di confronto sul nostro modo concreto di educare ed evangelizzare. Non troverete ricette pronte, ma domande e prospettive da condividere insieme, per arricchirci a vicenda.
Il Focus di questo mese è sulla spiritualità. Non a caso: come Movimento Giovanile Salesiano quest’anno ci formeremo proprio sulla Spiritualità Giovanile Salesiana, e per questo vogliamo entrare insieme in questo orizzonte. Questo focus prende spunto da tre episodi concreti che ho vissuto in questo mese di settembre: l’intervento di don Francesco Galante alla Consulta MGS, che ha riflettuto sulla differenza tra vita interiore e vita spirituale; la rilettura del testo di don Viganò sull’interiorità apostolica, che un confratello mi ha confidato che gli sta facendo molto bene per la sua vita spirituale; uno studio fatto in Équipe di PG sul libro di Tomáš Halík, che invita i cristiani di oggi a riscoprire la loro vocazione profetica. Tre tracce che, messe insieme, diventano un filo conduttore: passare dall’interiorità alla spiritualità, da una fede solo interiore a una spiritualità apostolica, fino a vivere oggi la dimensione profetica nel nostro andare incontro ai giovani ogni giorno.
Vita interiore e vita spirituale
Alla Consulta MGS di settembre, don Francesco Galante ha distinto con chiarezza due dimensioni: «la vita spirituale non è una tecnica, un insieme di regole, o qualcosa che facciamo noi. Anzi, per essere più precisi, dovremmo dire che noi non c’entriamo quasi nulla con la vita spirituale, perché essa è ciò che lo Spirito Santo fa dentro di noi». La vita interiore, invece, è «tutto il nostro apparato emotivo, psicologico, affettivo, razionale, il nostro mondo dentro». «Con i giovani, spesso, ci fermiamo alla soglia della vita interiore – ascolto di sé, ricerca di senso, emozioni – senza compiere il passo verso la vita spirituale, cioè verso la relazione con Dio che trasforma la nostra interiorità e le dà respiro»: questa è la provocazione che don Francesco ci ha lasciato. Come possiamo aiutarci a compiere questo passaggio, a fare in modo che le nostre attività possano smuovere non solo la vita interiore ma quella spirituale?
L’Interiorità apostolica
Il Rettor Maggiore don Egidio Viganò ci ha consegnato un’eredità decisiva: l’interiorità apostolica. Scrive che «la spiritualità salesiana non si può concepire senza l’azione apostolica, così come l’azione apostolica non si regge senza interiorità: è una reciprocità vitale, non opzionale».
Per noi salesiani e per chi educa nello stile di don Bosco, questo significa che la preghiera, la Parola e l’Eucaristia non sono “rifugi privati”, ma sorgenti di energia missionaria. La vita spirituale non si esaurisce nel “sentirsi bene con Dio”, ma diventa slancio apostolico, passione educativa e creatività pastorale. La domanda allora è: viviamo la nostra interiorità come spinta alla missione, o come luogo di ripiego? Riusciamo a fare in modo che la nostra interiorità sia spiritualmente aperta alla missione apostolica?
La missione dei profeti
Thomas Halík, nella sua Terza lettera dal titolo «La missione dei profeti», all’interno del libro “Il Sogno di un nuovo mattino”, ci ricorda: «Il profeta non predice il futuro, ma vede in profondità il presente. È colui che indica il cammino e ridesta la speranza».
Il nostro tempo ha bisogno di credenti e di educatori profetici, capaci di leggere i segni dei tempi con gli occhi del Vangelo e di proporre alternative concrete ai deserti spirituali che avanzano. I giovani cercano figure credibili, non perfette, ma capaci di testimoniare che un altro modo di vivere è possibile. Cercano persone che hanno una vita spirituale accesa, viva. Una vita spirituale che accende domande di senso. Quanto siamo capaci di pensarci così?
Riflettere su questi temi non è semplice. Parlare di vita spirituale rischia di restare astratto se non lo caliamo nei luoghi concreti dove viviamo e accompagniamo i giovani. La sfida sta proprio qui: come coltivare e trasmettere una vita spirituale che non sia disincarnata, ma intrecciata con le esperienze quotidiane?
Per esempio a scuola, dove la fatica dello studio può diventare occasione di crescita interiore e di apertura a Dio che illumina la ricerca della verità; nella formazione professionale, dove il lavoro manuale e tecnico diventa palestra di dignità, di servizio e di responsabilità, e occasione per scoprire il valore spirituale del lavoro ben fatto; in oratorio, dove il gioco e l’amicizia possono essere vissuti come segno di comunione, allenamento alla gratuità e alla gioia che nasce dallo Spirito; nei convitti e nelle comunità per minori, dove la vita insieme è palestra quotidiana di fraternità, di perdono, di maturazione umana e cristiana.
In tutti questi ambienti, per noi educatori, docenti e animatori, la sfida è grande: non ridurre la spiritualità a momenti “extra” o solo liturgici, ma mostrarne la forza trasformatrice dentro la vita quotidiana. È difficile, ma essenziale, se vogliamo che i giovani scoprano che Dio non è un’aggiunta, ma Colui che dà senso e respiro a tutto.
don Emanuele Zof
DELEGATO PG - INE