Carissimi tutti,
confratelli salesiani e laici impegnati nei consigli delle CEP e nelle Equipe di PG nelle nostre opere salesiane del Triveneto,
Eccoci entrati nel mese di luglio! Lo scorso mese mi sono soffermato sul tema del “cuore” e vi ho chiesto dove siamo più “accordati” e dove batte di più il nostro cuore. In questo mese vorrei concentrarmi su una breve riflessione/focus sulla mente, sulla nostra capacità di pensare e - di conseguenza - agire. Da qui il gioco di parole del titolo: pratica-mente. Praticamente siamo chiamati a fare in modo che la mente si orienti alla pratica, ma anche che la pratica si confronti con un buon pensiero della mente (e del cuore, sede dell’anima).
C’è una celebre scultura bronzea dell'artista francese Auguste Rodin che mi ha sempre colpito: “Il pensatore”. Essa rappresenta un uomo intento in una profonda meditazione, dove non solo la posizione della testa suggerisce l’idea del pensare, ma anche i muscoli del corpo sono tesi nell’azione “pensante”. L’opera mi suggerisce l’idea che non si pensa soltanto con la mente, ma con tutto il corpo! Che tutto l’uomo, mentre pensa, è orientato e spinto all’azione.
Su questo tema, in questi giorni ho letto uno degli ultimi libri di Byung-Chul Han, che ha dedicato all’importanza della vita contemplativa o dell’inazione. Capacità, quella della contemplazione o dell’inazione, che va recuperata in un tempo in cui tutto è Vita Activa (in riferimento al libro di Hannah Arendt, che critica a ragion veduta). Così afferma il filosofo: “Se oggi una rivoluzione pare impossibile, allora forse il motivo risiede nel fatto che non abbiamo più tempo per pensare. Senza tempo, senza il tempo di riprendere fiato, ecco che l’Eguale va perpetuandosi, e lo spirito libero muore”.
Al termine di quasi un anno da Delegato di PG, uno dei temi che più emerge sui vari tavoli di lavoro è quello riguardante la “formazione” (dei salesiani, dei laici, degli animatori, dei ragazzi, dei volontari…). Il compito educativo ci chiede, di fatto, di “formare” le persone e di trovare al tempo stesso forme che ci aiutino in questo. Il problema che stiamo riscontrando da più parti, però, è che non riusciamo a dedicare il tempo per una riflessione sana sul nostro agire pastorale. Presi dalla troppa operosità, dalle mille attività da fare, dalle tante persone da seguire, sacrifichiamo il tempo del pensare e del pregare (sì, le due azioni sono collegate tra loro: se non si prega non si pensa) e quindi agiamo in modo ripetitivo senza portare nessuna novità che viene dall’Alto.
San Gregorio Magno ci ricorda una cosa molto importante sul tenere insieme vita attiva e vita contemplativa, pratica e riflessione: “Quando un buon programma di vita prevede il passaggio dalla vita attiva a quella contemplativa, allora è spesso utile che l'anima ritorni dalla vita contemplativa all’attiva, facendo sì che la fiamma della contemplazione accesa nel cuore regali tutta la propria perfezione all'operosità. Quindi la vita attiva deve condurci alla contemplazione, ma la contemplazione deve riportarci all'azione.”
Anche in Note di Pastorale Giovanile, il pedagogista Raffaele Mantegazza, nel dossier sui “buchi neri dell’educazione” afferma che uno dei buchi neri è proprio la teoria, il pensiero, la riflessione. Ma la pone sul piano dell’azione: “La teoria è una forma di azione” e - citando Adorno - la definisce “l'unica forma di prassi ormai possibile per gli uomini onesti”. Per Mantegazza occorre partire da questa consapevolezza quando si preparano percorsi educativi e formativi per i giovani. “L'essere umano vive per teorizzare e per agire, e il continuo circolo virtuoso tra queste due dimensioni deve essere insegnato ai ragazzi fin dalla più tenera età”. Anche noi in primis, dunque, siamo chiamati a tener presente questo legame tra teoria e azione, prassi e contemplazione.
Nelle Conferenze sullo Spirito Salesiano di don Alberto Caviglia, c’è una parte dedicata allo studio nella vita dei salesiani. Riporto alcune citazioni: “Don Bosco amò e coltivò gli studi e lo studio. Bisogna distinguere perché corre differenza tra studio e studi. Amò lo studio, vuol dire che ebbe piacere di studiare; amò gli studi, invece, significa l'amore per questo o quell'altro studio [...]. Sentiva potentemente la necessità della cultura umana. Ciò che è più sbalorditivo in Don Bosco è che la massima parte della sua scienza è frutto del suo lavoro personale [...]. Adesso veniamo a noi. Con quale spirito dobbiamo studiare? Don Bosco dovette studiare da sé per le circostanze dell'epoca e per la sua passione del sapere, per poter poi agire [...]. Con quale spirito ed intenzione si deve studiare? Prima di tutto con lo spirito della scienza; questa e la pietà vogliono essere unite; e poi con lo spirito utilitario[...]. Noi abbiamo imparato da Don Bosco che dobbiamo studiare di tutto per fare del bene alle anime, per una scienza pratica.” È vero che don Bosco non fu mai un “teorico” delle pratiche educative, delle riflessioni teologiche, ma è vero anche che non agiva senza aver pensato e riflettuto sulle cose. Il suo tempo era dedicato alla riflessione e alla preghiera, prima che all’azione. Don Bosco era un uomo pratico, di azione, ma anche riflessivo e contemplativo.
Credo fermamente che, come educatori salesiani, possiamo fare una buona sintesi di quello che Byung-Chul Han riporta nel suo libro, tenendo insieme vita attiva e vita contemplativa. Dobbiamo però saper ritagliare il tempo per l’inazione, per il “non fare nulla”, del tempo da “donare a Dio”, del tempo di silenzio che ci consente “di dire qualcosa mai udito prima” e per poter far sì che l’inazione ci conduca alla soglia dell’ “azione inaudita”. Voi cosa ne pensate?
Che questo mese di luglio ci doni l’opportunità di ricaricare la mente e lo spirito per trovare nuove forme di azione pastorale.
don Emanuele Zof
DELEGATO PG - INE