L’ISTITUTO DELLE VOLONTARIE DI DON BOSCO
Siamo nate da una intuizione di don Filippo Rinaldi, terzo successore di Don Bosco. Don Rinaldi, riprendendo un’intenzione che era già nella mente e nel cuore dello stesso Don Bosco, ha colto il desiderio di alcune oratoriane di Valdocco di consacrarsi interamente a Dio, continuando a vivere immerse nel mondo e distinguendosi nelle relazioni e nel modo di essere in famiglia, nella società e nel lavoro per lo stile tipicamente salesiano. Abbiamo una vocazione che, per la sua caratteristica secolare, è molto simile a quella dei cooperatori salesiani o degli exallievi, ma si differenzia per la totale appartenenza al Signore. Professiamo infatti i consigli evangelici come i religiosi e le religiose e il nostro cammino di vita è illuminato dalle Costituzioni dell’Istituto.
Il primo incontro, sotto la guida di Don Rinaldi, a cui parteciparono le tre giovani dell’oratorio che, come dice la cronaca, avevano espresso “il desiderio di essere Figlie di Maria Ausiliatrice nel secolo”, avvenne il 20 maggio 1917, data che segna l’inizio del nostro Istituto. Da quel lontano 20 maggio l’Istituto ha camminato parecchio, non senza qualche difficoltà: dal 1931, dopo la morte di Don Rinaldi, le prime associate rimasero per qualche tempo senza una guida, ma continuarono ad essere fedeli alla loro vocazione, mantenendo acceso “il fuoco sotto la cenere. L’Istituto ha raggiunto la propria fisionomia nel 1978 con le approvazioni giuridiche che gli hanno dato un posto nella Chiesa come Istituto Secolare di Diritto Pontificio. La Chiesa ha riconosciuto così che è possibile realizzare il carisma salesiano nella secolarità consacrata.
Attualmente siamo oltre 1200 Volontarie sparse nei vari continenti (Africa, America, Asia, Europa). Apparteniamo pienamente alla Famiglia Salesiana e cerchiamo di mantenere relazioni di fraterna amicizia con tutti i suoi membri, anche partecipando regolarmente alla Consulta. Abbiamo un’organizzazione territoriale che prevede la suddivisione in zone, definite come Regioni.
La nostra Regione INES comprende: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Slovenia e siamo 56 VDB. Il gruppo di Padova, interna all'Ispettoria salesiana nord est, è composto da 17 VDB.
Siamo organizzate in gruppi locali, all’interno dei quali viviamo una giornata di ritiro mensile. A ciascun gruppo viene assegnato un sacerdote salesiano, incaricato di curare l’assistenza spirituale delle volontarie.
Come viviamo la spiritualità salesiana?
Alcune parole proprie della spiritualità salesiana sono: carità pastorale, amorevolezza, predilezione per i giovani e gli ultimi, sobrietà, semplicità, gioia, comunione, creatività apostolica, Eucaristia, Maria. Tutti questi elementi ben si ritrovano nello specifico della nostra vocazione. In particolare, desideriamo soffermarci sul primo elemento, ossia la carità pastorale (che traduce il “da mihi animas, caetera tolle”, programma di vita di don Bosco) che viene costantemente richiamata nelle nostre Costituzioni.
La spiritualità di don Bosco è una spiritualità apostolica che si preoccupa della salvezza integrale dell’uomo. Così la nostra carità apostolica vuole venire incontro ai più svariati bisogni dell’uomo e lo fa attraverso la capacità dell’incontro, dell’accoglienza, del dialogo affinché, anche attraverso di noi, ogni persona “non solo venga amata, ma possa capire di essere amata”. La nostra è una spiritualità profondamente incarnata, che ci chiede di essere ricche in umanità, concrete nei gesti di amore, attente alle persone, capaci di prevenire i loro desideri, felici solo di poter dare gioia. È allora per noi importante farci attente alla piccola storia della gente e al cammino dello Spirito nel cuore dell’uomo. Quindi è il nostro quotidiano il luogo per vivere la nostra spiritualità salesiana.
Nelle nostre Costituzioni siamo chiamate anche ad abbracciare una scelta che può sembrare singolare: il riserbo, ossia la non proclamazione pubblica della nostra identità di consacrate. Ma qual è l’essenza di questa scelta? Il suo senso va ricercato nella vita stessa di Gesù e di Maria a Nazareth, nostri modelli. Normalmente si è più tentati a considerare le parole che Gesù ha detto e a considerare di meno i suoi silenzi. Il silenzio più lungo è certamente quello dei primi trent’anni: silenzio di chi ha voluto condividere il destino del suo popolo, assumendo la grammatica dell’esperienza umana.
La strada di un silenzio che diventa spazio di accoglienza e di ascolto. E’ stato così anche per Maria, che ha custodito il verbo di Dio nel silenzio del suo grembo e poi ha continuato a custodire (senza mai distinguersi da chi le stava accanto) la Parola fatta carne fino al momento estremo della croce
Se è stato vero per Gesù e per Maria, questo vuole esserlo anche per noi: senza la fretta di proclamare l’annuncio, ma con la pazienza di essere il “lievito” che, con le condizioni opportune di vita, “fa fermentare tutta la pasta” (Mt 13,33). Nascoste nella massa, desideriamo che la nostra vita, come la conduciamo, parli, esprima Colui a cui l’abbiamo donata.
La secolarità, vissuta come realtà teologica e non solo sociologica nella nostra missione, determina il nostro essere. Il mondo è, se così si può dire, il nostro convento o, per dirlo al modo salesiano, il nostro oratorio!