24 Giugno 2024
Chişinău
IL PROFUMO DEL TEMPO
Carissimi confratelli,
uno dei luoghi che quotidianamente abitiamo e da cui non possiamo scappare è il tempo. È un pensiero che mi accompagna in questo periodo in cui mi chiedo che cosa ne ho fatto di questi ultimi sei anni. È una domanda che si staglia soprattutto alla fine della vita. Che cosa ne ho fatto dei miei giorni? Che tempo è stato quello che ho vissuto? È un quesito che emerge in tutti noi ogni volta che ci guardiamo indietro e ripercorriamo il nostro passato scoprendovi rimpianti che pretendono d’impalcarsi a giudici e soddisfazioni che si pensano epiche ma che non sono altro che il frutto del proprio dovere.
Il Qoèlet ci ricorda che tutto ha il suo momento e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo (Qo 3,1), che nel tempo troviamo tutto e il contrario di tutto. Vita e morte, semina e sradicamento, uccisione e cura, demolizione e costruzione, pianto e riso, lutto e danza, abbracci e distanza, strappi e cuciture, amore e odio, guerra e pace (cf. Qo 3,1-9). Nella nostra vita c’è tutto questo e tutto, misteriosamente, è vita. Tutto è grazia.1 Sono queste le ultime parole del Diario di un curato di campagna. Tutto è grazia, nulla ci è dovuto.
Tutto è dono gratuito e gratificante di Dio: il suo amore non si può acquistare, il suo favore non si può conquistare, il suo dono non avviene per merito. È consolante poter guardarsi indietro e cogliere in ogni nota del tempo, anche in quelle stonate, il profumo della grazia. È un attimo dall’olfatto al cuore e dal cuore all’anima. È allora che l’anima s’eleva riconoscendo con stupore che vi è una economia sommersa della salvezza anche in quelle piaghe del tempo in cui il respiro è solo un affannoso susseguirsi di sospiri.
Per giungere a questo dobbiamo recuperare spazi di lentezza, di attesa, di distrazione. Dimoriamo in un “adesso accelerato” che rischia di non farci rendere conto di quello che viviamo facendoci sentire sempre in ritardo. È da un pezzo che è così. Scrisse uno storico nel 1872: Uno dei fatti più gravi e dei meno notati è che l’andatura del tempo è del tutto cambiata. Ha raddoppiato il passo in una strana maniera. In una semplice vita di un uomo (solitamente di 72 anni) ho visto due grandi rivoluzioni che in altri tempi avrebbero potuto mettere in mezzo a loro un intervallo di duemila anni2. Chissà cosa direbbe oggi! Appare sempre più palese che in questa accelerazione -che sta divenendo dispersione del tempo- l’uomo arranca dandosi ritmi che sfregiano i delicati tempi dell’anima. L’accelerazione generale del processo di vita priva l’uomo della capacità contemplativa. Per questa ragione gli restano precluse quelle cose che si aprirebbero soltanto in un indugiare contemplativo.3 È la contemplazione che ci mette nella condizione di captare il profumo del tempo facendone una lettura teologica, grazie alla quale il passato può insegnare al presente come comportarsi nel futuro perché odori di grazia.
Forse dovremmo scoprire maggiormente il Dio della lentezza e il Dio delle piccole cose, capaci di farci intuire che la vita non si può valutare guardando alla velocità o alla grandezza di quanto compiuto. L’unità di misura del tempo è il profumo della grazia per cui anche una vita molto breve e semplice può raggiungere l’ideale di una vita riuscita, santa. La quantità, come la velocità, inganna quando ritiene miserabile il poco, luogo biblicamente sempre promettente. Il Vangelo ce lo ricorda più volte. Basti pensare al regno di Dio paragonato ad un granello di senape, il più piccolo di tutti i semi (cf. Mc 4,26-34), o alla sconosciuta lentezza dei trent’anni di Nazareth. Associamo troppo facilmente il successo e il fallimento alla quantità e alla velocità e crediamo che ogni sconfitta sia un giudizio implacabile, un tempo privo di redenzione e che non fa curriculum.
A tal proposito, ultimamente ho riletto queste righe di Hans Urs von Balthasar: Nessun combattente è più divino di colui che è in grado di vincere con la sconfitta. Nell’attimo in cui egli riceve la ferita mortale, il suo avversario crolla a terra definitivamente colpito. Perché costui colpisce l’amore e viene così dall’amore colpito.4 E se la sconfitta fosse una occasione? E se fosse una vittoria che ha fatto il voto di umiltà? Chi ama non perde mai. Se si viene colpiti mentre si ama, perché non colpire a nostra volta amando ancora? Una lancia, mentre ferisce, apre. E il tempo si fa occasione, ulteriore possibilità, profumo se abitato da un amore ostinato. Perde colui che ha il tempo sfigurato dalle feroci battaglie intraprese dall’orgoglio. Ma perché facciamo così fatica a comprendere che ciò che conta è l’amore che mettiamo in tutto quello che facciamo? Temiamo la vulnerabilità dell’amore, eppure gli innamorati si mostrano le cicatrici come medaglie. L’amore è rischio, è ardire la sconfitta, è disponibilità alla ferita. Il Getsemani ne fu orante testimone. La passione è la sostanza stessa del rischio. [...] È sposare un movimento che ci spossessa e al tempo stesso ci rivela.5 Lo scrisse Chiara Corbella al figlio che attendeva: il contrario dell’amore è il possesso. La grazia che profuma il tempo veste di rischio, di patimento, di spossesso e non di quelle conquiste a cui plaude il mondo. La grazia consiste nel dimenticarsi.6 Questo profuma il tempo. Lo sa bene Colui che recensisce le anime. Solo quel che arde diviene cenere. Sacra è la cenere. Non io ma la mia cenere è sacra.7 L’alternativa, anche per la vita consacrata, è vivacchiare, stagnare, non osare il salto. Dove curva e si allarga il ruscello / so bene che l’acqua correndo più veloce / si erge sui sassi rendendoli scivolosi / ma correrò il rischio, / il mio spirito non vuole lo stagno.8
Un’ultima cosa. Nei giorni scorsi un confratello, condividendomi alcune sue riflessioni sulla nostra vita salesiana, mi ha chiesto: Tu dove hai percepito di più la carezza di Dio? Tu hai bisogno delle sue carezze oppure ti arrangi? È una domanda che mi sta accompagnando in questi giorni. Sta scavando dentro di me, dentro il tempo che ho vissuto obbligandomi a ripensarlo non tanto come l’inventario delle nostre collaborazioni con Dio, quanto come un povero tessuto sdrucito reso prezioso dai ricami delle carezze di Dio. Dove ho percepito di più la carezza di Dio? Nel ricamo di uno sguardo benevolo, nel perdono ricevuto nei confessionali, nell’ascolto profondo privo di ogni giudizio, nella sincera passione per i giovani di tanti confratelli, in quel rimprovero che è stato provvidenza, in quel tempo in cui stetti in ginocchio sulla tomba di mio padre, nella fiducia donata senza alcun tornaconto, nei sogni di tanti giovani, in quei salmi che al momento giusto leniscono il cuore, nella fedeltà alla missione salesiana di chi abbiamo deluso, negli occhi di chi rischia perché me lo chiede don Bosco, in quell’umiliazione accolta che rammenda comunità scucite, in quell’anima che parla con Dio. Tu dove hai percepito di più la carezza di Dio? Lascio a te questa domanda che ci salva da letture solo orizzontali della storia. Alla fine di questi sei anni, ti auguro di scoprire sempre più, assieme ai giovani, che è Dio il profumo del tempo.
don Igino Biffi
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1 Georges Bernanos, Diario di un curato di campagna, Mondadori 1989, p.244.
2 Jules Michelet, Histoire du XIX siècle (1872) in Daniel Halévy, L’accelerazione della storia, Oaks editrice 2019 (1a ed. 1948).
3 Byung-Chul Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e Pensiero 2017, p.81.
4 Hans Urs Von Balthasar, Il cuore del mondo, Jaca Book, Milano 2006, p.32.
5 Anne Dufourmantelle, Elogio del rischio, Vita e Pensiero 2020, p.30.
6 Georges Bernanos, Diario di un curato di campagna, Mondadori 1989, p.242.
7 Pär Lagerkvist, Poesie, Guaraldi Editrice, Rimini 1991, p.117.
8 Maurizio Cocco, Non lascio più cadere le ciliegie, Corvino Edizioni 2023, p.125.