Festa della Famiglia Salesiana
nei 200 anni del sogno dei 9 anni
25 aprile 2024
A quell’età ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita. Così inizia il sogno dei nove anni di don Bosco. Credo che questo incipit sia anche nostro. Anche noi, in qualche momento della nostra vita, abbiamo fatto un sogno che ci è rimasto profondamente impresso nella mente. Questo bicentenario è l’occasione per ringraziare Dio che ha donato il suo sogno a don Bosco, ma è anche l’occasione per benedire Dio dei sogni che ha posto in noi, di quei sono che sogni che sono eco del sogno dei 9 anni. Il sogno è sempre un dono: una persona non può imporsi di sognare. Oggi siamo qui per dirci che Dio continua ad abitare con i suoi sogni tutta la Famiglia Salesiana. È un dono ed è un compito. Siamo qui accomunati da un sogno avvenuto 200 anni fa che nel tempo ha avuto bisogno di un vasto movimento di persone per concretizzarsi e diventare strada di salvezza. Così disse Don Bosco il 19 marzo 1876 in una conferenza pronunciata dinanzi ai giovani: Per operai che lavorano nella vigna del Signore s’intendono tutti coloro che in qualche modo concorrono alla salvezza delle anime. [...] Tutti possono in qualche modo far qualche cosa. Don Bosco diceva spesso: Io ho sempre avuto bisogno di tutti.
In questa Festa di San Marco il Vangelo ci rivela il cuore di ogni sogno di Dio: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Questo invito di Gesù pesa e misura i nostri sogni. Questi sono veri nella misura in cui hanno il sapore del Vangelo e se hanno la forza di farci partire. «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Sono parole che Gesù oggi rivolge a tutti noi, nessuno escluso. È interessante notare il fatto che Gesù non usi il singolare ma il plurale:andate. Dobbiamo andare insieme, ognuno con la sua specificità, ma insieme. L’annuncio deve essere comunitario perché per essere credibile ha bisogno della testimonianza della fraternità, dell’amore vicendevole, di una comunità di credenti. Il Papa lo ha detto chiaramente nel suo viaggio in Ungheria lo scorso anno: Il primo lavoro pastorale è la testimonianza della comunione, perché Dio è comunione ed è presente dove c’è carità fraterna. La proclamazione del Vangelo avviene dove c’è la comunione, dove c’è unità e, nel nostro caso, comunione e unità dentro ciascun gruppo della Famiglia Salesiana e tra i gruppi della Famiglia Salesiana. Non significa che tutti dobbiamo fare le stesse cose, ma che tutti coltiviamo quel sogno di Dio che si radicò in Giovannino Bosco, che un po’ alla volta si fece carne e che oggi vuole continuare a vivere anche attraverso di noi.
San Pietro ci indica a quale condizione è possibile la comunione e quindi quale sia la via per annunciare il Vangelo. «Carissimi, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1Pt 5,5). L’umiltà è la spina dorsale della carità, è l’ossigeno della fraternità, è quella roccia su cui possiamo costruire una testimonianza affidabile, è il sangue che permette alle nostre comunità di vivere l’annunciodel Vangelo. Quando l’umiltà manca, le nostre comunità, i nostri gruppi, le nostre relazioni muoiono per dissanguamento. San Pietro è chiaro: rivestitevi di umiltà (1Pt 5,5). Sia l’umiltà il tuo vestito quotidiano. Indossalo e, quando è logoro, rattoppalo chiedendo al fratello l’elemosina della sua correzione, di una presenza esigente ma amorevole. San Pietro è chiaro: Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili (1Pt 5,5). Se vogliamo essere abitati dalla Grazia di Dio dobbiamo fare voto di umiltà affinché sia sangue per le vene delle nostre relazioni.
È bellissimo in questa giornata ritrovare questa parola di Dio, umiltà, nel sogno dei nove anni. Così disse la Madonna a Giovannino Bosco: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto». Per arare il campo della missione la prima parola indicata da quella donna di maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, è umiltà. La parola Renditi è un chiaro invito a fare in modo che l’opera della nostra chiamata si compia. È un appello alla responsabilità personale, un compito non delegabile a terzi. Qualche volta mi capita di ascoltare questa espressione: ...che ci vuoi fare, son fatto così, ho questo carattere e non ci posso far nulla. Ebbene, l’imperativo Renditi non accetta scappatoie e non ammette che si faccia della propria indole, del proprio carattere una scusa per giustificare quelle fatiche relazionali che alla lunga intorpidiscono il cuore e inquinano la fraternità. Renditi ovvero scolpisci la tua esistenza acquisendo quelle virtù necessarie che cesellano l’umanità, sana o ferita che sia. Renditi umile, è la Madonna che ce lo chiede.
San Pietro non fa sconti e, a fronte della bellezza dell’annuncio della fede, non nasconde tutta la difficoltà insita nell’annuncio. E dice: Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare (1Pt 5,8). C’è chi resiste al Vangelo, chi non vuole che lo diffondiamo, chi ha logiche di divisione e di odio, chi vuole divorare i sogni di Dio e svuotarli della loro forza profetica. Oggi, ringraziando per far parte di un sogno iniziato 200 anni fa, siamo qui anche per rinnovare la nostra professione, la nostra promessa, il nostro impegno di continuare a lottare fino alla fine (Gv 13,1) per la salvezza dei giovani spendendoci nella missione che ci è affidata. Resistetegli saldi nella fede (1Pt 5,9), dice san Pietro. La fede come arma, come luogo in cui lottare. La fede come resistenza. Il sogno dei nove anni ci da delle indicazioni per vivere questa insidiosa lotta contro il nemico. «Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici». La mansuetudine, la carità, l’amorevolezza, la mitezza, la tenerezza sono le spade da sguainare nel campo di battaglia educativo per creare quella prossimità e confidenza che, come delle porte sante, fanno intuire ai giovani che sono abitati dalla nostalgia di Infinito e che sono fatti per l’Infinito, per vivere per sempre.
Ne vale la pena questa battaglia. Lo dice san Pietro: Il Dio di ogni grazia vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù (1Pt 5,10). Dobbiamo essere grati per la chiamata alla gloria eterna ovvero a vivere l’amore di Dio in eterno, e per la vocazione, tutta salesiana, di far cogliere ai giovani che il desiderio di amare e di essere amati ha una sua destinazione, un suo compimento, una sua possibilità, una sua speranza. Siamo portatori di una promessa bella, di un sogno unico iniziato 200 anni fa e che oggi continua attraverso la Famiglia Salesiana e tutti coloro che hanno fatto propria la missione salesiana. Siamo qui oggi con il desiderio di essere una parte viva e sempre più viva del grande sogno di Dio. Siano qui per rinnovare il nostro sì.
Grazie, Signore, per il dono che ci fai di annunciare il Vangelo.
Grazie, Signore, per averci coinvolto nel sogno di Don Bosco.
Grazie, Signore, perché continui a sognare anche attraverso di noi.
A cura don Igino Biffi