OMELIA
Don Antonio Prai
(15.11.1940 – 24.11.2023)
Tombolo, 27 novembre 2023
Ez 34,11-12.15-17 Sal 22 Mt 25,31-46
In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me. Quel l’avete fatto a me e quel non l’avete fatto a me rivelano che aver cura o non aver cura dei più piccoli è aver cura o non aver cura di Gesù. Saremo giudicati sull’amore. Il giudizio sarà sull’amore, non sul sentimento o sulle buone intenzioni. Saremo giudicati sulle opere, sulla compassione che si fa vicinanza e aiuto premuroso, sull’esserci presi cura di quel Cristo presente nei fratelli più piccoli, così come fece Don Bosco, così come fece don Toni. Non solo. In quel l’avete fatto a me c’è la dichiarazione che Dio abita in noi, che ogni uomo è dimora di Dio. Proprio per questo l’uomo è sacro, perché abitato dal Sacro e impregnato di Sacro. E per questo motivo offendere l’uomo è offendere Dio e uccidere l’uomo è uccidere Dio. L’avete fatto a me dice che aver a che fare con l’uomo è aver a che fare con Gesù.
Dio ha un giudizio pesante su coloro che non hanno fatto nulla per Lui perché, di fatto, non hanno fatto nulla per gli uomini, per i piccoli. In quel Dies Irae li chiama addirittura maledetti perché non hanno compiuto azioni benedette. Anche don Toni sapeva arrabbiarsi e far anche la voce grossa per le cause che riteneva giuste. Per questo è stato anche un uomo a volte scomodo, in qualche modo profetico. Ha sempre voluto stare tra gli scartati della società per dar loro un’occasione di rivincita e guarigione dalle ferite che li avevano emarginati. Don Toni sapeva che in quel l’avete fatto a me, Cristo afferma che l’uomo ha una dignità pari a quella di Dio. Quel l’avete fatto a me significa che quanto facciamo nella carità è per il Signore. Ogni atto d’amore verso l’uomo è un atto sacro perché è un Ti voglio bene detto a Dio. Don Toni è stato un sacerdote che ha amato Dio prendendosi cura degli ultimi.
Fin dall’inizio del suo sacerdozio si potevano cogliere due costanti nel suo agire. La prima era la scelta di recuperare ad una vita dignitosa quei giovani che mostravano difficoltà sociali e che vivevano la vita come un calvario. Il motivo era che di questa categoria di giovani non si interessava quasi nessuno. Fin dagli inizi della sua missione ha scelto i più abbandonati, i giovani più in difficoltà, prima malati psichici e poi quelli che stavano cadendo nel tunnel della tossicodipendenza constatando nel tempo anche l’impossibilità della convivenza di giovani con problematiche diverse che richiedevano metodologia e approcci distinti. La sua seconda convinzione era quella che bisognava privilegiare i rapporti diretti e personali. Questa era considerata la via migliore e più praticabile per un loro recupero ed un inserimento dignitoso nella società. Lo fece anche tessendo relazioni con il territorio e le istituzioni. Fin dall’esperienza di Conegliano ideò non una comunità autosufficiente, ma una realtà sorretta dall’aiuto del servizio pubblico il quale forniva supporto psicologico e medico ai giovani accolti. Tra tutti il più evidente fu il rapporto stretto con il Sert di Conegliano. Don Prai è stato un grande aggregatore, aprendo la Comunità Giovanile al territorio, favorendo così processi inclusivi e di socializzazione. Questo spirito di collaborazione lo portò ad allargare il numero degli operatori, dei volontari valorizzando l’apporto di ciascuno.
Il testo di Ezechiele ci rivela come Dio si muove con il suo gregge. I verbi ci rivelano il cuore di Dio: io stesso cercherò le mie pecore, le radunerò, andrò in cerca della pecora perduta, ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata. Dio è un cercatore incallito capace di tenderci mille agguati pur di non perderci, spinto da un amore che sa amare fino alla fine (Gv 13,1), fino al dono totale di sé. Don Toni stesso è stato un agguato di Dio per molti giovani. Cercare, andare in cerca, fasciare, curare sono verbi che descrivono bene la passione e l’amore di don Toni per i giovani, specie nelle esperienze di Conegliano e di Santa Maria la Longa. Così disse don Toni in una delle sue omelie: Quando ci accorgiamo di quanto siamo amati, ci trasformiamo. Quello che vale è quanto amo e quanto sono amato. In un’altra omelia disse: La cosa più grande che possiamo fare per Dio è dargli la nostra completa disponibilità. Lasciamo fare a lui, senza frapporre ostacoli. Ce ne verrà una grande pace. Lasciamo che pensi lui al quando, al dove, al come. Viveva l’essere buon pastore con grande disponibilità a Dio e convinto che solo l’amore è credibile, che solo l’amore di Dio sana e salva. Così racconta una persona da lui seguita spiritualmente: Don Toni ha liberato la mia anima da tutte quelle sovrastrutture che ci impediscono di vedere e sentire l’Amore di Gesù. Mi ha insegnato a stare in silenzio davanti al tabernacolo, non a chiedere ma ad ascoltare Gesù. “Non avere Paura il tuo nome è scritto nelle palme delle mani di Dio! Fatti riempire da Lui che sa di cosa hai bisogno”, mi diceva.
Dopo gli anni della formazione salesiana, l’ordinazione presbiterale per l’imposizione delle mani del Servo di Dio Mons. Giuseppe Cognata e il conseguimento della Licenza in Teologia a Roma, ritornato in ispettoria, don Toni è chiamato a curare la pastorale vocazionale ispettoriale. Fu destinato al Centro di spiritualità di Cison di Valmarino come incaricato del Movimento Giovanile (1970-73). L’incontro con tanti giovani, l’attenzione a quelli più disagiati e in difficoltà gli fanno scoprire il vasto mondo della marginalità e delle dipendenze.
Desideroso di stare accanto alla gente e di trovare, assieme ad altri confratelli, vie nuove per vivere la pastorale, per alcuni anni fu un prete-operaio alla Zanussi di Conegliano, cittadina dove nel 1976 fondò due comunità di recupero per giovani tossicodipendenti. Avviò prima una esperienza di accoglienza di giovani in difficoltà, per poi strutturare e qualificare una attività residenziale terapeutica per ragazzi, sempre molto giovani, con problemi di dipendenza nella sede di Parè.
Seppe immergersi nel sociale come sacerdote avendo sempre lo sguardo rivolto verso l’Alto. Don Toni era sempre fedele alle pratiche di pietà e alla messa mattutina. La sua preghiera era essenziale e senza fronzoli, sincera la sua relazione con l’Eucarestia. Parlava della vita di fede come esperienza di liberazione e vedeva il rapporto con Gesù come uno snodo essenziale nella vita del ragazzo che viveva forme di schiavitù e di dipendenza. Sottolineava sempre ai giovani e agli educatori che la vita di fede non era un escamotage per bypassare la fatica di diventare uomini, di correggere i propri egoismi, i propri difetti, coprendoli con una spiritualità devozionale o con una preghiera non concreta. Voleva molto bene ai ragazzi che vivevano con lui, con la comunità salesiana e gli educatori. A La Viarte di Santa Maria La Longa Don Toni, dopo la messa del mattino, andava a fare colazione con i ragazzi, sempre, e lì era bello vederlo scherzare con loro, mettere una parola buona per ciascuno, richiamando i ragazzi in maniera chiara e decisa quando li vedeva non incamminarsi, all’inizio della giornata, verso il proprio dovere. Poi andava in ufficio dove faceva colloqui con i ragazzi e con gli educatori. Aveva sviluppato una cultura del colloquio terapeutico consapevole del ruolo del direttore della casa. Dotato di introspezione psicologica, teneva insieme le varie dimensioni dell’uomo, da quella fisica a quella umana a quella spirituale.
Era un padre che incarnava e proponeva una vita coerente, libera, ricca di valori. Cercava di essere un padre a cui ragazzi con molte fragilità potessero attaccarsi e ricevere quel buon esempio e quella parola di cui spesso avevano bisogno. I ragazzi volevano molto bene a don Toni anche nelle sue spigolosità perché sapevano essere sincero il suo atteggiamento di preoccupazione e di correzione. In lui vi era un bellissimo mix di paternità, accompagnamento, severità, dolcezza. Aveva la piacevole abitudine di chiudere un pranzo, una cena, un momento di équipe con una bella battuta o una barzelletta. Vi era in lui una certa leggerezza nell’affrontare storie di vita, problemi, drammi molto grandi in cui una comunità che segue ragazzi in difficoltà è sempre immersa. La sua leggerezza era affidamento a Dio e, a conferma di questo, don Toni era particolarmente affezionato a Mt 6,25-34: era il brano preferito di sua madre. Lo rileggeva ogni sera nei periodi bui coricandosi sereno e affidato alla Provvidenza. Così dice questo brano: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? Così lui stesso disse durante una omelia: Tutto quello che potrebbe capitarci non ci farà paura. Primo, perché non sappiamo neanche se ci capiterà: secondo, perché c’è già chi ci pensa. In quel momento, Lui mi porterà in braccio; in quel momento, Lui sarà tutto per me. Se c’è qualcuno che sa ciò di cui ho più bisogno in ogni istante, è Lui; se c’è uno che arde dal desiderio di darmi ciò di cui ho bisogno in ogni istante, è ancora Lui. E allora, perché preoccuparsi?
Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna, dice Dio nel testo del profeta Ezechièle. Lo abbiamo pregato nel salmo: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare. Ad acque tranquille mi conduce. L’affidamento di don Toni a Dio era sempre grande e a chi viveva momenti di fatica e smarrimento diceva: Dal fondo del pozzo della tristezza sgorga l’acqua della fede e, piano piano, ci tira su. Don Antonio è stato uno di quei sacerdoti salesiani che hanno lasciato nel cuore di tutti una traccia di benevolenza, di serenità. Anche nelle sue esperienze parrocchiali, prima a Porto Viro, poi a Udine (2004-2016) e quindi Trieste (2016-2020), è stato gioviale con tutti, impegnato nella attenzione agli ultimi, ai fragili e bisognosi, fossero essi giovani o anziani o famiglie in difficoltà. Grazie alla sua carica umana, alla sua simpatia e alla sua capacità di relazione, la canonica era sempre frequentata, animata ed era diventata il cuore pulsante della comunità parrocchiale.
Amante della Parola di Dio, molti lo ricordano per le sue omelie dirette e piene di significati reali, calate nel quotidiano, sempre incisive e capaci di rendere attuale il Vangelo. Traendo spunto da fatti di cronaca, da letture di autori contemporanei, da riflessioni sulla nostra vita di ogni giorno, riusciva a dare concretezza all’insegnamento cristiano anche in modo provocatorio al punto che non ti permetteva mai di uscire dalla chiesa pacificato, ma sempre con domande e dubbi. Le sue erano osservazioni intelligenti e profonde che riuscivano a trasmettere l’inesausta novità e freschezza del Vangelo e allo stesso tempo il desiderio di aver cura della propria vita di fede, convinto che quel l’avete fatto a me metteva tutta la realtà a confronto con Cristo. Disse in una omelia: Il più grande peccato, che quasi mai nessuno confessa, è non vivere secondo il progetto che Dio ha per ciascuno di noi, non essere quella meravigliosa persona pensata da Dio dall’eternità. Se siamo come Dio ci vuole, ecco che il canto del Magnificat può uscire dalle labbra di ognuno di noi.
Era amabile e sereno in comunità: portava la gioia di vivere insieme e sapeva sdrammatizzare nei momenti difficili. Aveva un grande affetto per la famiglia di origine, sempre orgoglioso delle sue sorelle. Altrettanto affetto portava nei confronti dei parrocchiani, per molti dei quali era diventato una persona di famiglia, un padre, un fratello, un nonno.
Dei sui ragazzi che a causa delle dipendenze sono saliti in Cielo diceva: abbiamo un angelo accanto. Caro don Antonio, ora che anche tu sei volato in Cielo, dall’Alto custodisci quanti vivono la vita in salita. E chiedi al Padre che altri giovani possano, come te, seguire don Bosco per far conoscere la forza, l’attualità e la bellezza del Vangelo.
A cura di don Igino Biffi