Don Pietro Antonio Maino
(01.06.1935 – 29.05.2023)
Verona, 1 giugno 2023
Sir 42,15-26 Sal 32 Mc 10,46-52
Proprio oggi don Antonio Maino avrebbe compiuto 88 anni. Mi piace pensare che siamo qui riuniti per festeggiare con lui il suo primo compleanno in Cielo. Don Maino sta certamente ringraziando il Signore per il dono della vita e sta mettendo in pratica ciò che abbiamo letto all’inizio del testo del Siràcide: Ricorderò ora le opere del Signore e descriverò quello che ho visto. Ricordare le opere del Signore è pregare, è riconoscere il bene ricevuto, è saper leggere tra le righe della storia la sua presenza e il suo cuore operoso. A don Antonio piaceva ricordare, far memoria e lo faceva con molte parole. Era un confratello socievole, loquace, sempre pronto a condividere fatti, ricordi e pensieri con tutti. Amava chiacchierare, dialogare con tutti, dal più piccolo al più grande, dal meno informato al più competente. E lo faceva con grande spirito di accoglienza. Una delle caratteristiche di don Maino è stata la sua capacità di intessere relazioni. Era attento a chiunque entrasse nelle sue vicinanze. Con qualche sua battuta o qualche sua modalità caratteristica cercava di iniziare un dialogo che intercalava con l’immancabile “Capito?”. Era anche un brontolone ma simpatico.
Sempre l’autore del Siràcide scrive: Quanto sono amabili tutte le sue opere! E appena una scintilla se ne può osservare. La Parola di Dio ci invita a guardare alla realtà con gli occhi del cuore, a scoprire l’amore di Dio attraverso l’amabilità delle sue opere, e l’opera delle opere è l’uomo che si dona a Dio. Don Antonio era un uomo incuriosito dall’opera del creato visto in tutte le sue sfaccettature, tanto umane quanto naturali. Coglieva il bagliore divino che ogni realtà possiede in quanto opera del Creatore. Così ha scritto un confratello: mi è parso di scorgere in don Antonio un sincero desiderio di benedire Dio attraverso l'amore alle sue creature. A tal proposito, conosciamo tutti il suo amore per gli animali ed in particolar modo per i colombi per i quali veniva spesso scherzosamente preso in giro. Don Maino era curioso e voleva sapere di tutto e di tutti con amabilità ed affetto. Credo che la curiosità sia una via che introduce a riconoscere le opere del Signore. Scrive il Siràcide: Dio scruta l’abisso e il cuore, e penetra tutti i loro segreti. Potremmo dire che anche Dio è curioso. Vuole conoscere perché si ama solo ciò che si conosce. Lasciarsi conoscere da Dio nelle pieghe e nelle piaghe della nostra vita significa lasciarsi amare da Lui. La curiosità, quando si fa sete di conoscere, è una delle preziose vie dell’amore.
Il Vangelo ci narra di Bartimèo, un uomo cieco che voleva vedere. Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». Attirò l’attenzione di Gesù gridando: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse. A suo modo, con il suo chiacchierare quasi senza sosta, anche don Maino voleva richiamare l’attenzione ma non su di sé, quanto sui tanti temi che gli stavano a cuore, argomenti che voleva conoscere, capire, raccontare. Per lui il dialogo era un modo per vedere meglio. D’altra parte è proprio il dialogo che aiuta le persone a rendere chiaro ciò che è oscuro. È la fede in Gesù che fa avvenire il miracolo. Disse Gesù a Bartimèo: «Va’, la tua fede ti ha salvato». Allo stesso modo è la fede nell’altro che apre gli occhi e rende possibili le relazioni. Quando manca la fiducia, rimaniamo ciechi e i miracoli non avvengono.
L’età, gli acciacchi fisici e la mobilità, diventata negli ultimi periodi più difficoltosa, non impensierivano don Maino e dove voleva andare non c’era niente o nessuno che lo potesse fermare. Era però preoccupato che i cambiamenti in atto in questo nostro tempo e la mancanza di vocazioni non deturpassero lo spirito salesiano che aveva sempre contraddistinto la sua amata casa. Ha infatti sempre amato il Don Bosco ed era interessato a qualunque attività si stesse svolgendo. Seguiva la televisione per essere informato di tutto quello che poteva poi essere condiviso con gli altri. In particolare seguiva la vita della Chiesa e i discorsi del Papa di cui era innamorato. Ricordava continuamente su quali argomenti il pontefice aveva insistito nei suoi recenti discorsi.
In ogni assemblea comunitaria non mancava mai una sua riflessione. Aveva a cuore la vita dei confratelli e, nei momenti di gioia o di sconforto, si faceva sempre presente. Sono atteggiamenti come questi che aiutano ad aprire gli occhi e a saper vedere meglio, che permettono di scrutare l’abisso e il cuore, come scrive il Siràcide.
In don Maino il dialogo con Dio era frutto di una fede essenziale, concreta, coerente, profonda, ma non esibita, quasi silente. Visse l’amore all’Eucarestia, la devozione a Maria Ausiliatrice e a Don Bosco, di cui si sentiva un vero figlio. Ha servito il Signore e la Congregazione con il piacere di farlo, senza rimpianti e con grande semplicità, con la sua umanità, il suo carattere, le sue competenze, la sua particolare saggezza, il suo amore alla Chiesa e alla tradizione Salesiana che era un punto fermo nelle sue discussioni di carattere culturale, educativo e religioso. Don Antonio era consapevole che il prete è sempre un uomo toccato dall’amore di Dio e che la sua vita è sempre un mistero e un miracolo d’amore.
Don Pietro Antonio nasce a Lugo Vicentino il 1 giugno 1935 da papà Pietro e mamma Italia Carollo. Era l’ultimo di sei figli. Nel 2015, in occasione delle esequie del fratello don Girolamo, pure lui salesiano, don Antonio ricorda che già nel 1933 la loro mamma si rivolgeva al Beato Don Bosco con una preghiera scritta da lei. Gli affidava tutti i suoi figli chiedendo per loro spirito docile e mente aperta perché possano riuscire nei loro studi. Fu esaudita: nel 1934 il figlio Girolamo entrava in collegio a Trento; più tardi, nel 1946, anche Antonio è accolto dai salesiani nell’Istituto appena aperto a Castello di Godego, dove viene mandato per frequentare la V elementare e vi rimase fino alla terza media. Nel 1950 è mandato a Trento per frequentare il ciclo ginnasiale. Qui il 24 maggio 1952 presenta la domanda per entrare tra i figli di Don Bosco. Antonio inizia così l’anno di noviziato ad Albarè di Costermano (VR). Divenuto salesiano, il chierico Antonio è mandato a Nave (BS) per il corso liceale (1953-56) che conclude con la Maturità classica. Qui si ritrova come insegnante il fratello don Girolamo. Conclusi gli studi di filosofia, rientra in ispettoria per svolgere il tirocinio pratico ed è destinato a Este (1956-58) e a Verona (1958-59). Dopo la professione perpetua, svolge la teologia a Monteortone (1959-63). Vivrà l’ordinazione presbiterale l’8 aprile 1963.
Terminati gli studi teologici, don Antonio è destinato alla casa di Verona Don Bosco come insegnante nella Scuola Media e poi nella Ragioneria. La scuola e il Don Bosco saranno la sua missione per il resto dei suoi giorni, a parte i due anni in cui andò a Padova, come incaricato del Collegio Universitario (1969-71). A Verona insegnerà, seguirà le attività di animazione e formazione degli studenti. Il suo ruolo di vice-preside prevedeva spesso l’intervento severo nei confronti di qualche alunno che si era segnalato per un comportamento poco rispettoso o per qualche inadempienza scolastica; in queste occasioni don Maino era sempre dalla parte del ragazzo: dopo interminabili prediche tutto si concludeva sempre e solo con un “Adesso cerca di comportarti bene”. I ragazzi gli volevano bene, si confidavano con lui, sentivano che di lui si potevano fidare.
Don Antonio ha seguito il Collegio Universitario per una trentina d’anni. Era molto attento alla formazione socio-politica dei ragazzi, coinvolgendoli spesso in complicate discussioni sui fatti della contemporaneità e della politica. Era preoccupato che, accanto allo studio, ponessero attenzione alla vita collettiva, alla dimensione del bene comune. Per lui, “buoni cristiani e onesti cittadini” non è mai stato uno slogan, ma un programma educativo sempre presente. I giovani trovavano in don Maino la guida e la sponda che aiuta, accompagna e sospinge sulla via della vita. Come conseguenza nasce in lui un vero affetto per gli ex-allievi.
L’affetto per gli allievi, in particolare della scuola media, si manifestava nella presenza. Da vero salesiano, nonostante le sue evidenti difficoltà fisiche, ha sempre fatto il possibile per essere presente in cortile durante le ricreazioni, mantenendo fino alla fine un dialogo costante con i ragazzi e i giovani dell’Istituto. Attorno a lui si fermavano sempre vari allievi che ricevevano una parola, un libretto, un oggetto sempre di ordine spirituale. Il suo occhio, da buon salesiano assistente, scrutava per poi riferire a chi di dovere se c’era qualcosa che non andava o se percepiva che qualche ragazzo viveva qualche difficoltà.
Tra le varie testimonianze giunte in questi giorni, riporto quella di un giovane confratello tirocinante, Iosif Tulbure, che con alcune pennellate tratteggia bene la figura di don Antonio.
Quando penso a don Maino mi viene in mente un campanello. Un campanello che nei miei anni di tirocinio svolti a Verona Don Bosco suonava ogni qualvolta rischiavo di dimenticarmi tre aspetti della vita: la comunità, l’attenzione ai più poveri e la natura. È stato un campanello che mi ricordava i punti cardini della vita salesiana. Don Maino per me è sempre stato un confratello che ha saputo ricordarmi, con il suo fischietto e il suo “oi oi”, ciò che gli stava a cuore: la grazia di Dio, i ragazzi e i suoi confratelli.
Mai un rimprovero, ma sempre un consiglio. Mai un puntare un dito, ma sempre un ricordare la meta verso la quale eravamo in cammino insieme, ovvero il bene dei ragazzi. Io da giovane confratello, lui come un veterano del Don Bosco. Ci teneva a sentirsi un confratello in mezzo ai confratelli situati in prima linea della missione apostolica. Voleva farsi vicino a noi, sentiva di non poter più dare quanto davamo noi, ma voleva farci capire che anche se il suo tempo era passato la missione non viene mai meno.
Nel Vangelo Gesù chiede a Bartimèo: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». A questa richiesta credo che don Maino avrebbe risposto con fede presentando un lungo elenco di richieste. Avrebbe certamente chiesto per i giovani il dono di un cuore capace di vedere nella trama della storia la speranza cristiana, il dono di una intelligenza capace di non lasciarsi accecare dalle insidie del pensiero contemporaneo, il dono di occhi sempre pronti ad accogliere chi è in difficoltà. Il cieco rispose a Gesù: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». Chiediamo anche noi al Signore di poter vedere con il cuore, con l’intelligenza, con gli occhi quanto sono amabili tutte le sue opere e quanto solo queste saziano la fame di senso che ci abita e che abita i giovani.
A don Maino, un uomo di gesti semplici e di infinite parole, ma salesiano fino in fondo, con un amore sviscerato per Cristo, don Bosco e soprattutto per i giovani, chiediamo il dono di vocazioni salesiane, il dono di uomini e donne appassionati dei giovani e capaci di incontrarli con quel cuore salesiano che lui stesso ha avuto in dono.
A cura di don Igino Biffi