02/05/2024

Sig. Carlo Bussinello

S. Donà di Piave, 02 maggio 2024

 

Sono contento di poter dare l’ultimo saluto a Carlo. Per me questa omelia ha il sapore della riconoscenza/gratitudine, per il bene che mi ha voluto (e che anche io gli volevo!). Un bene grande e autentico nonostante le nostre differenti età!

Abbiamo ancora caldo nel cuore il saluto fatto a Bepi nei giorni scorsi, un saluto che, letto con fede, profumava di festa. L’Oratorio in pochi giorni ha perso due pezzi di storia, due pezzi da 90 (in tutti i sensi!) ma guadagna due angeli in Cielo! Quando penso a Carlo e Bepi, penso ai santi Pietro e Paolo, due colonne, due giganti della fede, ma due uomini profondamente diversi!

Carlo nasce a Pieve di Colognola ai Colli (VR) il 17 agosto 1933 da papà Albano e mamma Maria. In casa ci saranno anche 5 fratelli e una sorella.
Dopo la scuola elementare al suo paese viene inviato all’istituto don Bosco di Verona per frequentare le prime tre classi della scuola di Avviamento tecnico Industriale specializzandosi nel settore della sartoria. Affascinato dal clima che si vive, chiede di entrare tra i figli di don Bosco. Terminato l’anno di noviziato ad Albarè (1951), scrive così nella domanda per l’ammissione ai voti: “Sentendo particolare vocazione a questo stato religioso, col consenso del mio confessore faccio umile domanda d’essere ammesso ai voti… come religioso coadiutore”.

Nello stesso anno, per completare la formazione tecnica viene inviato al Rebaudengo di Torino. Nel 1953 rientra in Ispettoria e viene destinato all’Istituto Coletti di Venezia dove rimarrà fino al 1962 come formatore di Sartoria e Capo Sarto. Di quel periodo Carlo ricorderà sempre con commozione i servizi resi all’allora Patriarca Roncalli (futuro papa Giovanni XXIII): mentre gli prendeva le misure per confezionare vesti talari o camici, il giovane confratello si sentiva chiamare “Maestro”. 

Nel 1962 l’obbedienza lo destina al Centro Professionale, da poco avviato, nell’Oratorio di San Donà di Piave. Da qui il sig. Carlo non si muoverà più per 60 anni. Solo gli ultimi due, a motivo della salute, li passerà presso la casa Mons. Cognata di Castello di Godego.

Nei primi anni a San Donà, per venire incontro alle necessità dei giovani, si specializza in un nuovo settore; consegue il diploma di Perito Tecnico Elettronico e sarà formatore apprezzato fino all’età della pensione.

Ma il suo servizio non si è limitato alla scuola. Per molti anni ha gestito la colonia marina di Caorle, dalle prime costruzioni agli adattamenti successivi. In Oratorio la sua presenza era legata alla chiesa e alla cappella, attento agli addobbi e alla pulizia, ma soprattutto attento a seguire i chierichetti, a introdurli concretamente alla liturgia e alle celebrazioni.

Così ricorda un confratello: “A Carlo devo innanzitutto l'amore per la liturgia. Da quando ero piccolo e facevo il chierichetto mi ha affascinato il modo in cui curava i dettagli senza essere ricercato. Con semplicità amava l'ordine e la pulizia. Mi ripeteva che "le cose si fanno bene perché sono per il Signore". Aveva una grande capacità di coinvolgimento di persone: tra chi curava i fiori, i ragazzi e i formatori del CFP che dovevano sistemare i candelieri e gli oggetti più pesanti, i chierichetti a cui dava sempre un dolce per Natale e Pasqua. Rimanevo sempre colpito da come trattava le persone con un tratto umano molto delicato e gentile”.

Anche un’altra testimonianza dice: “In chiesa tutto portava la sua impronta: dalle tovaglie candide e inamidate, alle vesti sacre distese con cura sopra il mobile della sacrestia, al registro delle messe scritto in bella calligrafia, ai fiori sempre freschi per don Bosco e Maria”. Senza tanti corsi Carlo ha saputo fare un’efficace pastorale vocazionale in sacrestia!

Per molti di noi però, il suo ricordo più vivo è seduto sulla panchina rossa sotto il porticato. La sua era una presenza “strategica” in cortile: non seguiva alcuna attività in particolare, eppure, con la sua espressione seria, quasi crucciata, era tutto intento a guardare i ragazzi giocare. Attento, vigile, come chi sente ancora nonostante l’età, la responsabilità di una scelta e vi risponde come può.

Carlo, come Bepi, era la certezza del cortile. E da quella panchina rossa attirava tutti, tutti lo conoscevano e lui conosceva tutti. Come è stato ricordato anche l’altro giorno: era il suo modo di “fare adorazione” e assistenza.

Un confratello ricorda: “Mi colpiva, quando ero animatore, il suo sguardo educativo sui ragazzi: "Hai visto che quel ragazzo è da un po' che è triste? Hai notato che quello non saluta più?". E così ti rilanciava per andare dai ragazzi”.

Dopo tanti anni di impegno attivo con i giovani, aveva accettato di buon grado tanti piccoli servizi a testimonianza di una fede matura che sa trovare sempre il modo per esprimersi e sa fare un passo indietro senza serbare rancore.

Qualcuno diceva (non troppo per scherzo!) che quando non era fuori ad accogliere da buon salesiano i ragazzi o gli adulti che entravano in oratorio, tre erano i posti in cui lo si poteva trovare: in chiesa, nell’orto o in cimitero. Tre posti tranquilli che rispecchiavano la sua personalità di uomo riservato, premuroso, profondamente dedito al Signore nel suo servizio.


Carlo non amava molto parlare di sé e, se all’apparenza poteva sembrare burbero, in realtà nascondeva un cuore d’oro e una generosità infinita. Sapeva voler bene alle persone, ma non amava lasciarlo trasparire. I suoi saluti erano sempre contenuti, formali, ma veri. Un uomo schietto con un profondo rispetto per le persone e i suoi Superiori.

C’è un aspetto molto bello e profondamente umano che conservo di lui e che so essere condiviso da molti confratelli e amici. Carlo si lasciava prendere in giro, si lasciava “canzonare”. Ed era il suo modo per costruire comunità e fraternità! I pasti comunitari erano una delle occasioni più favorevoli e allegre. Gli si poteva dire tutto e lui aveva sempre pronto un proverbio in ogni occasione.

Quando lo si stuzzicava sul vivo rispondeva senza esitare: “l’oro non ciapa macia!” e si tappava le labbra con le mani. Normalmente, invece, rideva e poi, con finezza ed eleganza concludeva con l'ultima parola restituendo le battute con tanta intelligenza.

Proponeva le partite a carte, durante il gioco rideva, scherzava, sbagliava apposta per far arrabbiare il compagno di squadra.

Ogni tanto usciva con l’espressione: “non so se arriverò a Natale”. L’avrà detto decine di volte! E noi puntuali a chiedergli: ma di quale anno? Noi gli chiedevamo cosa avremmo trovato in camera sua tra i suoi ricordi per il funerale? E lui pronto a rispondere: “non troverete niente”!

Sapevamo che conservava in camera le ciliegie sotto grappa (quelle buone di Colognola!). Le teneva per le grandi occasioni… oppure per fare festa quando il direttore mancava!

Nel suo cassetto in refettorio teneva un foglietto con la lista dei direttori passati per San Donà e degli ispettori succedutesi negli anni. Lo aggiornava ad ogni cambio. Noi gli dicevamo: “anche questo lo hai fatto fuori”! Lui non rispondeva… ma si girava al confratello più vicino alzando il pollice e sorridendo come per avvalorare che lui restava e gli altri passavano.

Pensando a come se n’è andato, mi è venuto spontaneo scegliere il vangelo degli “ultimi posti”. Carlo non ha voluto rubare la scena; ha aspettato Bepi e si è messo in coda! Fedele fino alla fine al suo essere discreto, nascosto e silenzioso!

“Quando sei invitato, va a metterti all'ultimo posto”. Carlo aveva capito che l'ultimo posto non è un'umiliazione; anzi, è il posto di Dio, che comincia sempre dagli ultimi della fila; è il posto di quelli che vogliono assomigliare a Gesù, che è venuto per servire e non per essere servito.

I “gesti dell’ultimo posto” sono quelli che hanno la forza di generare un capovolgimento, un'inversione di rotta nel modo di vivere le relazioni tra di noi. Ce lo hanno detto anche le bellissime parole del libro del Siracide che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti”.

Ma il Vangelo metteva in luce anche un altro aspetto: “quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Sarai beato perché non hanno da ricambiarti”. La beatitudine di Dio è riservata per coloro che sanno amare i fratelli senza aspettarsi nulla in cambio, che sono capaci di rompere quella parità tra dare e avere per far prevalere la gratuità.

Ed è proprio così che vogliamo ricordare Carlo: un “sarto” che ha saputo vestire l’abito della carità, decorandolo di umiltà e generosità. Quell’abito che offre i posti d’onore al banchetto di Dio!

Grazie Carlo per la tua sincera amicizia, grazie per il confratello che sei stato; per il tuo operare nascosto ma effettivo, silenzioso ma efficace, semplice ma costante.

Ti chiamavamo “nonno Bussi” ma eri un padre; un padre per il quale, senza timore e senza esagerare, sento il dovere di spendere gli aggettivi più belli: umano e fraterno, buono e generoso, umile e laborioso, libero e obbediente, semplice e fedele, essenziale e amante del bello, un grande salesiano e un profondo uomo di Dio!

L’ho sempre detto che un giorno mi piacerebbe invecchiare come te: allegro, ironico, affabile, contento. Mi/ci lasci una profonda eredità: come essere padri senza avere figli, come essere fratelli e amici anche quando non ci si sceglie, come essere salesiani anche quando si invecchia, come essere felici anche quando qualche cosa non va secondo i nostri piani.

Siamo nel mese di Maria, giovane umile e nascosta ma scelta e innalzata da Dio. L’Ausiliatrice non è mai mancata nella tua vita! Adesso la pensiamo così: che si avvicina a te, che sarai nascosto in fondo alla fila del Paradiso e che ti sussurra all’orecchio: “amico vieni più avanti… perché il Signore ti vuole accanto a sé”.

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Omelia tenuta da don Enrico Gaetan

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