Carissimi confratelli salesiani e laici impegnati nelle CEP e nelle Équipe di PG, siamo arrivati a settembre ed inizia un nuovo anno pastorale! Siamo ancora dentro l’anno giubilare della Speranza e continuiamo a solcare il percorso nazionale relativo alla proposta pastorale che vede trattare le tre virtù teologali. Abbiamo iniziato appunto con la Speranza (2024-25) e quest’anno affrontiamo la Fede (il titolo della Proposta è “Alzati e vai”) per passare poi il prossimo anno a riflettere e vivere la Carità.
L’estate ci ha visti coinvolti in tante esperienze con i ragazzi e con i giovani, sia a livello locale che ispettoriale. Mi scuso per non avervi inviato il consueto Focus di inizio agosto: ero a Roma con 350 giovani delle nostre opere del Triveneto per vivere il Giubileo dei giovani, un’intensa esperienza di fede e di pellegrinaggio della speranza che ha segnato profondamente il cuore di tutti.
Ad ogni modo, prima di passare ai prossimi temi, che mi piacerebbe trattare con voi nei Focus del nuovo anno pastorale, concludiamo in questo mese di settembre il nostro percorso sui soggetti della Pastorale Giovanile Salesiana. Abbiamo iniziato con i giovani (giugno) interrogandoci su chi siano e su quali stiamo realmente intercettando nelle nostre opere del Triveneto. Poi ci siamo soffermati sulle loro famiglie (luglio), alleate e a volte ferite, che accompagnano la crescita dei ragazzi. Ora volgiamo lo sguardo a un altro attore decisivo: i collaboratori – tutti coloro che, insieme a noi, rendono possibile la missione salesiana nelle opere.
E qui entra in gioco la Comunità Educativa Pastorale (CEP), cuore pulsante della nostra azione educativa ed evangelizzatrice. Non basta avere attività ben organizzate o strutture efficienti: ciò che conta è la qualità delle relazioni e la comunione tra salesiani, laici, educatori, docenti, personale amministrativo, volontari e animatori. La CEP è il soggetto che educa: non un singolo, ma una comunità che, mettendo insieme vocazioni e competenze, si fa “casa” per i giovani.
A luglio, a Monteortone, i Consigli delle CEP delle scuole e della Formazione Professionale hanno vissuto due giornate intense di formazione. L’ispettore, don Silvio Zanchetta, ci ha provocato con parole chiare: «Dobbiamo cogliere il nesso tra le questioni operative, quelle educative e quelle spirituali: quello che mettiamo in atto è frutto di un’esperienza spirituale»; «Non è il ruolo che ti innesta nel nucleo animatore, ma l’identificazione personale con missione, sistema educativo e spiritualità»; «Evangelizziamo educando ed educhiamo evangelizzando: come Gesù vero Dio e vero uomo, viviamo questa tensione senza confonderla e senza separarla». Don Silvio, nel suo intervento, ha usato un’immagine semplice che ha reso concreto il concetto: un papà che aiuta un bambino a costruire un castello di sabbia. “Per molta gente ciò che facciamo a scuola o in oratorio può sembrare inutile” -diceva don Silvio- “Eppure è lì che i ragazzi imparano a maneggiare la vita. Non c’è chi fa e chi riceve: tutti siamo parte della costruzione”.
Questa visione ci provoca: Sappiamo davvero collaborare tra noi per costruire qualcosa di bello assieme ai giovani, o ci chiudiamo nel nostro compito, pensando solo a quello che “tocca fare a noi”?; Abbiamo il coraggio di convocarci, motivarci e coinvolgerci a vicenda, o restiamo schiacciati su ruoli e procedure?; I nostri giovani vedono adulti che si stimano e si accompagnano, o respirano rivalità e frammentazione?
Un episodio dice più di tante teorie. Alla fine di un’estate di oratorio, una ragazza scrisse una lettera. Non ringraziò genericamente “i Salesiani”, ma prese il tempo di nominare uno per uno le persone che aveva incontrato: gli educatori, gli animatori, i salesiani, i cuochi, la portineria, l’amministrazione... Tutti avevano lasciato un segno in lei. La sua gratitudine verso tutti è la prova che i ragazzi crescono non grazie a un singolo, ma perché hanno visto una comunità educante in azione.
Don Bosco non ci chiede di fare di più, ma di amare di più. La comunità educante non è un optional organizzativo: è il primo annuncio che diamo ai giovani. È la prova che l’unità è possibile, che la corresponsabilità è feconda, che il Vangelo si incarna in un popolo che si fa comunità e che educa.
Ma noi, oggi, siamo disposti a lasciare che la nostra voce diventi parte di un coro? O preferiamo restare solisti?
Buon inizio d’anno pastorale a tutti!
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don Emanuele Zof